Salento: alle Cesine scoperto il grande molo del porto di Lupiae
In Salento, in località “Posto San Giovanni”, alcuni ricercatori si sono occupati di una recentissima scoperta archeologica: il porto di Lupiae alle Cesine.
Salento: lu sule, lu mare, lu jentu… e l’archeologia
È di qualche settimana fa la notizia di una scoperta sensazionale dal punto di vista archeologico: nel territorio delle Cesine sono stati rinvenuti i resti dell’antico porto di Lupiae (l’antico nome latino del capoluogo salentino e pugliese).
L’archeologa Rita Auriemma, professoressa presso il dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, ha presentato, presso l’auditorium del museo ‘Castromediano’ della città, i primi risultati delle sue ricerche. Si tratta di studi non invasivi fatti sia su terra che su mare, nello specifico nell’oasi Le Cesine di Vernole, riserva naturale gestita dal WWF.
Si tratta di strutture di epoca romana che vanno a completare un’immagine prima frammentaria dell’antico snodo portuale salentino. Grazie alle più recenti tecnologie, è stato possibile correlare le scoperte archeologiche fatte negli anni Novanta con quelle odierne, ovvero quella di un molo dalle dimensioni imponenti costruito seguendo una tecnica tipica dei porti sull’adriatico, ovvero quella di usare grossi blocchi parallelepipedi che raggiungono circa 8 metri, messi insieme sviluppandosi per circa cento metri in orientamento est-nord-est.
La professoressa Auriemma ha poi illustrato come si siano conservati filari sovrapposti in numero di due o più, ma come fuori dal tracciato della struttura si noti al contrario una dispersione di blocchi che denota dei crolli causati dai forti venti del Salento, e dal moto ondoso, il quale ha causato anche tratti di una canaletta scavata nei blocchi di calcarenite. Inoltre, a sud sono visibili dei ritrovamenti di blocchi sagomati dalle grosse dimensioni, forse usati come bitte di ormeggio.
Sempre nelle zone circostanti, c’è un’area coperta dalla sabbia a causa della posa di sedimenti, che potrebbe denotare un’altra appendice di quello che si configura come un gigantesco e antichissimo complesso portuale. Basti pensare al nesso che l’archeologa ha stabilito con la celebre ‘Chiesa sommersa‘, una struttura che sorge sui banchi rocciosi sovrastanti la superficie del mare e composta da tre ambienti rettangolari. Sempre a dimostrare la tesi dell’esistenza di questo gigantesco scalo marittimo è un tracciato viario che dal centro della città porta direttamente a questo ritrovamento.
Ci sono parecchie incertezze su cronologia, articolazione e geometria di questi ritrovamenti, ma si pensa che questo possa essere un molo più vecchio di quello di Adriano, il quale si trova a nord della baia di San Cataldo, date le somiglianze nelle tecniche edilizie utilizzate e nelle gigantesche dimensioni del suo sviluppo.
Fonti antiche parlano poi dell’arrivo di Ottaviano da Apollonia presso il porto leccese, il che denota una grossa considerazione di questa città in un’epoca che va dall’età repubblicana ai primi anni dell’Impero. La professoressa Auriemma si chiede quindi se questi non siano proprio i resti del porto stesso di San Giovanni. Questo dubbio deriva da alcuni studi condotti da Giuseppe Ceraudo e Carla Amici nel 2014, anno in cui un gruppo di archeologia subacquea ritrovò dei pali che portavano su loro stessi l’impronta di un intervento di ricostruzione voluto nel quattrocento dalla contessa di Lecce, Maria d’Enghien.
Tutti questi tasselli di ricerca, avvallano la teoria di Auriemma, che sostiene la presenza, nell’epoca romana, di un imponente complesso portuale in quella che era l’antica città di Lecce.