Scéblasti o simeddha? Nomi diversi per un unico grande sapore
Uno dei prodotti alimentari autoctoni e più caratteristici è una tipologia di focaccia che è data da un impasto, ottenuto con farina di grano duro e lievito madre a cui si aggiungono: zucchina, zucca, olive nere, capperi, pomodorini, olio, sale, cipolla e peperoncino. È la deliziosissima Simeddha, chiamata a Zollino, dove si presume sia nata, Scéblasti.
A Zollino, infatti, ad agosto si tiene la “Sagra della Scéblasti”, durante la quale, lungo un percorso tra le strade e il centro storico, si giunge all’interno di antiche case a corte dove si può gustare questa specialità.
Scéblasti deriva dal griko e vuol dire “senza forma”, proprio perché gli ingredienti, amalgamati tra loro, non le permettono di avere un aspetto ben definito come il pane. Generalmente ha forma circolare, appiattita, con un diametro di 30 centimetri. È quasi gommosa, non croccante. Anticamente veniva cotta nei forni a legna ed era il primo pane ad essere sfornato all’alba, anche perché riusciva a rimanere morbida per diversi giorni, aspetto che permetteva ai contadini di poterla consumare anche tempo dopo la cottura.
A seconda della zona del Salento, la Scéblasti cambia nome. Nella zona del capo di Leuca viene chiamata “Simeddha”, a Lecce invece “Pizzi”, nella zona di Ortelle “cucuzzata” o “pirilla”.